Alfonsina, la “colonnella”

Se il Clesio ed suo il successore Cristoforo Madruzzo (Principe-vescovo tra il 1539 ed il 1567) conquistarono al loro Principato una salda autonomia dalle ingerenze della Casa d’Austria, i vescovi che seguirono, il cardinale Ludovico Madruzzo prima (1532-1600) e suo nipote il cardinal Carlo Gaudenzio (1562-1629) poi, ebbero non poco a penare per le tensioni crescenti con gli Asburgo di Innsbruck. Nel momento in cui la potente famiglia dei Madruzzo raggiungeva l’apice della sua influenza, ponendo ininterrottamente tra il 1539 ed il 1658 sul soglio episcopale tridentino ben quattro suoi rappresentanti, si ritrovava tuttavia a dover sostenere la forte pressione del Principe tirolese sulla nobiltà del Welschtirol. Nel 1567, addirittura, il vescovo Ludovico si era dovuto rifugiare insieme al suo Capitolo nella Rocca di Riva, per sfuggire all’occupazione della capitale da parte delle soldataglie di Ferdinando II d’Asburgo.
Nonostante un compromesso tra le parti raggiunto nel 1587, agli inizi del 1600 il conflitto tra Asburgo tirolesi e Madruzzo riguardo al controllo del Trentino si acuì, senza dubbio a causa della politica aggressiva dei primi. Nel 1614, ad esempio, l’illustre casato degli Arco dovette cedere alle pretese asburgiche e ridursi ad un umiliante trattato alla cui stipula, in rappresentanza dell’arciduca Massimiliano, presenziava il nobile Giannangelo Gaudenzio Madruzzo, cugino del cardinale Carlo Gaudenzio e capitano generale delle milizie tirolesi. Questi dal 1601 aveva posto la sua residenza nella Rocca di Riva ma, paradossalmente, nel 1602 il Principe-vescovo suo parente ne accordava il comando al capitano Giuseppe Zanardi, in aperto contrasto con la volontà cesarea. Ed infatti nel 1606 l’arciduca Massimiliano reclamò il suo diritto sulla fortezza del Garda, costringendo sia lo Zanardi sia Giannangelo Madruzzo a barcamenarsi tra le due signorie in conflitto.

In questa temperie, il barone Giannangelo Gaudenzio Madruzzo (1562-1618) nell’ottobre 1602 prese in seconde nozze la nobildonna Alfonsina Gonzaga, figlia del conte di Novellara Alfonso I Gonzaga e di Donna Vittoria di Capua.
La giovane Gonzaga, poco più che ventenne, dopo un rapido fidanzamento combinato con il nobiluomo trentino, più vecchio di lei di almeno vent’anni, fu di fatto sbalzata alla corte militaresca del Madruzzo, costretta a confrontarsi con le tre figlie del precedente matrimonio di Giannangelo con Caterina Orsini (figlia di Virginio, principe di Bracciano e San Gemini): Giovanna, Margherita ed Elena, la prima delle quali era quasi sua coetanea.
Malgrado i familiari di Alfonsina cercassero buoni pretendenti alla sua mano tra le corti di Ferrara e di Roma, il potente zio, il duca di Mantova Vincenzo I Gonzaga, ottimo amico del Madruzzo Capitano di Riva, spinse per le nozze con quest’ultimo, avendo tra le sue intenzioni quella di stabilizzare i vantaggiosi legami con gli Asburgo (egli stesso era figlio di Eleonora d’Austria e nipote dell’imperatore Ferdinando I), specie con quelli del Tirolo. Sua sorella Anna Caterina Gonzaga, infatti, era già Arciduchessa d’Austria e Contessa del Tirolo, avendo sposato nel maggio del 1582 lo zio materno Ferdinando II, vedovo a sua volta della amatissima prima moglie Philippine Welser: alla morte dell’augusto marito (1595) Anna Caterina si consolò volgendosi totalmente alle opere della fede, con la fondazione del convento e della chiesa dei Serviti di Innsbruck (1613-1616) dove il suo corpo ancora riposa.
In maniera analoga anche Alfonsina dopo la scomparsa di Giannangelo Gaudenzio, avvenuta nel 1618, quale sua esecutrice testamentaria portò a compimento la costruzione e la decorazione della nuova chiesa-santuario di S. Maria allo Spiazzo, comunemente nota ai Rivani come l’Inviolata.
Se è vero che l’ispirazione sociale e culturale fuoriuscita dal Concilio di Trento (1545-1563) tendeva a relegare le donne, anche quelle appartenenti alle élites dominanti, a ruoli nascosti e subalterni, tuttavia la figura femminile si trovava ormai da decenni al centro dell’attenzione del mondo intellettuale, tanto che per questo fenomeno si parla oggigiorno di “femminismo” cinquecentesco (Francesco Sberlati). L’intraprendenza di non poche donne dell’alta e media società infatti poté continuare ad esprimersi, anche nell’epoca controriformistica, soprattutto negli ambiti dell’impegno religioso ed educativo (si pensi a Mary Ward che, nel 1609, fondò l’istituto delle Dame Inglesi), oltreché della letteratura e delle arti, con personalità affascinanti come quelle di Lavinia Fontana Zappi (1552-1614), della poetessa dalmata Flora Zuzzeri (1552-1648) o della pittrice romana Artemisia Gentileschi (1593-1653).
Di Alfonsina Gonzaga Madruzzo scrive Luisa Gretter Adamoli che ella “fu l’unica donna committente mai ritratta da un pittore in una chiesa”; ed il riferimento va, inequivocabilmente, all’affresco che compare all’interno del santuario dell’Inviolata a Riva, nel quale l’artista aulico a Trento, Martin Teofilo Polacco (1570-1639), ritrasse la gentildonna inginocchiata davanti ad un’effigie del suo lontano parente san Carlo Borromeo.
Si deve, del resto, proprio alla scrittrice Luisa Gretter Adamoli il merito di avere acceso i riflettori della storia sulla figura dimenticata di Alfonsina Gonzaga, grazie al romanzo biografico Tre punti di rosso, edito da Curcu Genovese nel 2011. In esso leggiamo che, ancora bambina e già orfana di padre, Alfonsina fu affidata con le sorelle alla cura delle agostiniane del convento di S. Marta di Milano, divenuto per volontà del Borromeo centro propulsore dei dettami post-tridentini.
La salda istruzione spirituale e morale ricevuta dalla giovane Gonzaga nei principi della Riforma cattolica emerse con chiarezza non solo nella fedele devozione al marito Giannangelo Gaudenzio ed alla di lui memoria, ma anche alla dedizione con cui ella assunse i compiti amministrativi che egli le lasciò quando si spense l’11 dicembre del 1618. La “colonnella” – come pare la definisse il popolino rivano – non si limitò però ad essere mera esecutrice delle volontà del marito, bensì assunse l’iniziativa scegliendo personalmente maestranze ed artisti per la decorazione della “loro” chiesa dell’Inviolata. Oltre a quelle con Martin Teofilo Polacco, la nobildonna curò con acume le relazioni con l’artista bresciano Pietro Maria Bagnatore (1550-1627), il quale era già stato al servizio del conte Alfonso I Gonzaga di Novellara e, probabilmente, era stato chiamato ad ideare quale architetto la fabbrica del nuovo tempio mariano di Riva. Non a caso, il più celebre ritratto che si conservi della baronessa Gonzaga Madruzzo è ascrivibile proprio alla mano del Bagnatore e risale al periodo tra il 1615 ed il 1620 (si ammira al presente nel Museo Civico di Riva del Garda): Alfonsina vi è rappresentata come una donna matura, dai tratti somatici piuttosto decisi, narici larghe, zigomi alti e sporgenti, mandibola squadrata e bocca dal labbro inferiore carnoso, l’espressione apparentemente distratta e alquanto severa. Si direbbe una donna di una certa tempra solo a guardarla. Il suo viso è altrettanto ben caratterizzato nel già citato affresco che la rappresenta sull’altare di sinistra del santuario dove, bardata di una sopravveste dorata a ricami floreali, Alfonsina, a figura intera, prega in ginocchio davanti ad un’immagine del Borromeo poggiata su un tavolino protetto da una tovaglia rosa. Alle sue spalle si affaccia da dietro una tenda rossa una damigella vestita di turchino; all’esterno della stanza, invece, si intravvede una processione che muove verso il santuario, chiusa da un gruppo di ecclesiastici in preziosi ornati.

Nel progettare il complesso dell’Inviolata gli architetti di Giannangelo Gaudenzio e di Alfonsina seguirono gli ordinamenti delle Instructiones Fabricae et Supellectilis ecclesiasticae (1577) di Carlo Borromeo, miranti all’esecuzione di una maestosa sobrietà capace di istruire il popolo alla bellezza della fede cattolica e della devozione mariana. La costruzione della chiesa-santuario però non fu solo un’operazione controriformistica, ma anche un’azione di carattere squisitamente politico, finalizzata a ribadire il dominio dei Madruzzo – e quindi del cardinale principe-vescovo Carlo Gaudenzio – su Riva e sul suo territorio. E di questa complessa azione Alfonsina divenne regista e convinta realizzatrice.
Ella seppe superare con dignità persino la scelta del defunto marito di essere sepolto proprio all’Inviolata accanto alla prima moglie Caterina, la scelta discutibile e poco delicata di quell’attempato sposo, spesso lontano da casa a motivo dei suoi impegni militareschi, che l’aveva lasciata sola senza concederle nemmeno la consolazione di un erede maschio. Rimasta vedova, dopo aver commissionato l’edificazione di un oratorio nella casa Crotta, nei pressi della Rocca, Alfonsina vi si trasferì come in un buen retiro privato, sistemato secondo le sue necessità ed ingentilito da un bel giardino. Amata e rispettata dal popolo, la “colonnella vedova” teneva lì la sua piccola corte di persone fidate, continuando a mantenere frequenti contatti con la sua terra d’origine e a beneficare le istituzioni religiose rivane. La Adamoli ci narra pure di come ella dovette fronteggiare, negli ultimi anni della sua vita, il dolore di vedersi contrastata dalla figliastra Giovanna, il cui marito Albert von Wolkenstein trescava con l’intento di farla escludere dalla successione ereditaria.
Tanto dimenticata è rimasta la figura di questa donna energica e potente, ma al contempo discreta e prudente che anche la data della sua morte è imprecisa: secondo alcune fonti si sarebbe spenta a Riva nel 1650, secondo altre già nel 1647.
Di lei rimangono tuttavia, stupendi memoriali in pietra, le opere sacre e civiche con le quali arricchì il volto della sua cittadina d’adozione Riva, la cui popolazione seppe amare con la dedizione di una autentica sovrana tardo-rinascimentale e di una munifica benefattrice.

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Pubblicato da Andrea Vitali

No, non è lui, il celebre medico-scrittore di Bellano! Questo Andrea Vitali, nato a Roma e naturalizzato sudtirolese, è più modestamente un insegnante di italiano seconda lingua nella scuola superiore tedesca dell’Alto Adige. Attualmente tiene anche corsi di letteratura italiana presso la Facoltà di Scienze della Formazione della Libera Università di Bolzano. Vivendo da decenni in Alto Adige/Südtirol ha imparato ad amare la storia, le culture e le lingue delle terre dell’antico Kronland Tirol. Per questo, dal 2006 è anche guida storico-culturale professionale del territorio altoatesino. Nel 2009 ha pubblicato un ampio testo storico-artistico sulla città medievale di Chiusa/Klausen e sul complesso monumentale di Sabiona/Säben, mentre nel 2019 è apparso per i tipi di Curcu&Genovese il suo ultimo libro "La scuola e la svastica", uno studio sulle condizioni della scuola italiana altoatesina durante il breve periodo dell’occupazione nazista.